[SEO] Come posizionare il tuo sito in google dopo meno di 1 ora dalla registrazione del dominio

Nell’ultimo anno, ho sperimentato nuove nicchie, alcune redditizie altre un pò meno, tutto per guadagnare seriamente su internet, ma anche a scopo didattico per cercare scientificamente come permettere a google di indicizzare un Dominio appena acquisto tra le serp, senza dover attendere settimane.

In realtà, ho trovato una soluzione, abbastanza scientifica che mi permette di includere un blog su un Dominio personalizzato e su un web hosting decente in pochissimo tempo, tutto senza dover ricorrere a trucchi particolari o ad altri sotterfugi, ma utilizzando semplicemente gli strumenti messi a disposizione dal repository di WordPress e da Google stesso.

Cosa Fare su WordPress:

  1. La prima e sicuramente più importante cosa da fare su WordPress, dopo averlo installato sul tuo Dominio e sul tuo hosting è quella di cancellare immediatamente la pagina “Pagina di Esempio” e l’articolo “Ciao Mondo“, altrimenti, posso garantirtelo, saranno i primi ad essere indicizzati.
  2. Se hai creato il tuo blog in una sandbox (a dire il vero anche se non lo hai fatto) è arrivato il momento di pubblicare i tuoi primi articoli, ne bastano un paio, ma se ne hai da scrivere di più che ben venga;
  3. Adesso dovresti installare il plugin  Google XML Sitemap che puoi trovare nella sezione dei plugin gratuiti da wordpress, o installarlo dalla tua bacheca sotto “Plugin->Aggiungi Nuovo”
  4. Scaricalo, installalo e attivalo; per il momento potrai chiudere il tuo blog; ci ritorneremo più tardi.

Utilizzare Google Webmaster Tools:

A questo punto è arrivato il momento di utilizzare google Webmaster tools per includere il tuo nuovo blog su google, e per inviare la sitemap, l’operazione è più semplice a farsi che a dirsi, ma ci proverò lo stesso.

  1. Collegati al sito di Google Webmaster tools e accedi con il tuo account Google, se non  ne hai uno, puoi crearlo gratuitamente ottenendo così anche un indirizzo di posta elettronica Gmail.
  2. Sulla destra c’è un pulsante, anche abbastanza discreto visto che ha lo sfondo rosso che dice “Aggiungi Un sito”, cliccaci su ed inserisci l’indirizzo del sito nel formato www.sito.com, senza inserire http://.
  3. Dopo aver inserito l’url, dovrai verificare la proprietà del sito, potrai farlo caricando via FTP il file che ti fa scaricare google, e cliccando su verifica sito.
  4. Terminata l’operazione precedente, non ti resta che inviare la sitemap, che nel frattempo è stata creata in automatico dal plugin che hai scaricato ed installato sul tuo blog in precedenza.
  5. Per inviare la sitemap, sempre nel google webmaster tools spostati nella sezione “Ottimizzazione” e poi “Sitemap” anche qui un pulsante ti indicherà chiaramente come inserire la sitemap del tuo sito cliccaci su e nel campo di testo che apparirà inserisci “sitemap.xml.gz“.
  6. Se sotto la voce “stato” apparirà “In Attesa” vuol dire che hai fatto tutto bene

Ora ti basterà andarti a fumare un paio di sigarette, farti un caffè o una doccia, e quando tornerai, il tuo blog sarà già su google, comunque controlla digitando l’indirizzo dello stesso sul motore di ricerca.

 

Fonte: www.wpcode.net

Come evitare che le e-mail vengano intercettate dai filtri anti-SPAM

COME I FILTRI ANTI-SPAM BLOCCANO LE E-MAIL
Per prima cosa ribadiamo che lo SPAM danneggia internet, le aziende, le persone e i siti che agiscono nel rispetto dei propri utenti, da qui il motivo di questa mini-guida: tutelare chi (con estrema facilità) rischia di finire indebitamente nelle grinfie di filtri anti-SPAM (tutt’oggi ancora poco accurati).

Premesso questo, passiamo all’analisi dei “discriminanti” che separano ciò che appare come SPAM da ciò che, al contrario, così non appare. Ogni filtro anti-SPAM opera in modo differente dagli altri ma i sistemi di valutazioni sono fondamentalmente tre:

  • Analisi della e-mail – Ogni elemento costituisce un’informazione utile che sancisce la probabilità che le nostre comunicazioni siano o meno moleste; tra i parametri più comunemente analizzati troviamo: gli header, l’oggetto, il corpo del messaggio, l’IP di provenienza, il dominio di riferimento, la frequenza di invio, il numero di invii nel tempo, la presenza o meno sulle blacklist, il destinatario (ecc.).
  • Analisi umana – Dal professionista all’utente comune chiunque può segnalare un dato indirizzo o un dato messaggio come SPAM. Nel primo caso, quello dell’esperto, è difficile che cadere in errori di valutazione, mentre nel secondo, quello dell’utente casual, errori, malizia e giudizi superficiali sono sempre in agguato. Non capita di rado che una newsletter regolare (con istruzioni per la deiscrizione, ecc.) venga bollata come SPAM per una semplice comodità del destinatario che, non avendo interesse ad informarsi su come essere rimosso, ignora contratti e accordi e blocca la comunicazione.
  • Liste altrui – Si tratta delle famose whitelist (indirizzi e server attendibili), blacklist (indirizzi e server non attendibili) e greylist/liste temporanee (indirizzi e server non attendibili fino a conferma). Se da un lato è facile finire in una blacklist, dall’altro è assai complesso entrare in una whitelist: occorre aderire rigorosamente alle norme imposte dal fornitore di turno e mantenere un profilo cristallino. Non tutti i filtri anti-SPAM impiegano le liste.

COME EVITARE DI FAR FINIRE UNA E-MAIL TRA LA POSTA INDESIDERATA
Senza scendere in dettagli esageratamente tecnici ecco alcuni consigli su come raggiungere onestamente i propri destinatari e approdare alla loro casella di posta in arrivo:

  • Testo o HTML? – Se non è strettamente necessario (ad esempio dal punto di vista del marketing) è sempre meglio inviare e-mail testuali (in genere vengono viste meglio dai filtri anti-SPAM). Se optiamo per l’HTML, teniamo presente che alcuni client web sottopongono a replace (sostituzioni) il codice inviato: è perciò importante che il markup sia valido e conforme alle norme del W3C (con tanto di title e doctype).
  • I link – Nei messaggi HTML i testi dei collegamenti ipertestuali esposti come url devono corrispondere all’indirizzo effettivo di destinazione (es. se il link nell’attributo “href” porta a “http://www.sito.com/sez1/” non dobbiamo scrivere “http://www.sito.com/” bensì “http://www.sito.com/sez1/”). Controlliamo inoltre che tutti i collegamenti siano funzionanti, che non siano numerici (es. “http://123.45.67.89”) e che non superino la decina.
  • Gli attributi dei link – Nei messaggi HTML tutti gli attributi dei link vanno messi dopo aver esplicitato gli “href”. L’attributo “target” deve essere impostato su “_blank”. L’attributo “title” deve essere sempre esplicitato.
  • A chi scrivere – Non inviamo le nostre e-mail ad indirizzi inesistenti, scaduti o che le rispediscono al mittente le nostre comunicazioni; che inviamo 1 o 10.000 e-mail dobbiamo dimostrare di sapere a chi stiamo scrivendo e non di “sparando nel mucchio”.
  • Oggetto e corpo del messaggio – Non scriviamo in maiuscoletto, con spazi tra le lettere (es. “c a s a”), non lasciamo oggetto o messaggio vuoti ee eliminiamo gli spazi bianchi superflui. Se possibile personalizziamo il testo per ciascun destinatario (inserendo nickname, nome, cognome, data, ora, ecc.). Non partiamo  nell’oggetto o nel testo del messaggio con numeri o peggio cifre in denaro.
  • Specifiche dell’oggetto – Nell’oggetto della e-mail è utile non dilungarsi oltre le 4-5 parole per un totale di 35-40 battute al massimo.
  • Specifiche del corpo del messaggio – Non iniziamo il messaggio con la parte a sinistra dell’indirizzo del destinatario (es. con “Egregio Mario .rossi” nello scrivere a “mario.rossi@lamail.com”). Non specifichiamo che la legge sulla privacy è stata rispettata, dovrebbe essere naturale (il farlo è tipico della posta indesiderata).
  • Parole da evitare – Non scriviamo parole come “viagra”, “offerta imperdibile”, “hai vinto”, “test”, “free”, “guaranteed”, “hello”, “prova”, “lavoro” (ecc.). Limitiamoci anche in termini di punteggiatura (evitiamo di esagerare con i punti di domanda e quelli esclamativi). Non inseriamo solo testo cliccabile ma anche testo normale.
  • Parole positive – Scriviamo parole come “list”, “news”, “in review”, “newsletter” (ecc.). Usiamo date e ore in formato inglese. Nelle e-mail HTML al posto delle lettere accentate usiamo i relativi codici (es. “è”), in quelle testuali solamente apostrofi.
  • Variazioni – Se possibile non mandiamo e-mail uguali a troppe persone, tentiamo piuttosto di personalizzarle quanto più ci è possibile (sia nell’oggetto che nel copro del messaggio). Usiamo nomi, indirizzi, date, personalizzazioni (ecc.).
  • Formattazione – In una e-mail HTML conviene evitare di formattare in modo esagerato il testo nonchè di scrivere in rosso o blu (colori largamente impiegati dagli SPAMMER). I CSS (se indispensabili) vanno specificati inline e lo sfondo del testo deve essere bianco. Il layout deve risultare liquido e tabellare (niente posizionamenti assoluti). Le tag più consone sono quelle del markup XHTML. Per andare a capo usare le tag “<br>” e non i paragrafi “<p>”.
  • Niente complicazioni – Evitiamo: tutte le tecnologie poco diffuse, pesanti, le animazioni Flash, gli script Java, Javascript, i form, le tag input e select. Evitiamo l’uso di pixel di tracciamento per sapere se la e-mail è stata aperta/recapitata o meno: si tratta di indici poco sicuri e utilizzati in prevalenza dagli SPAMMER.
  • Le immagini – Il peso di ciascuna e-mail inviata non dovrebbe superare i 50Kb (immagini incluse). Per le immagini grandi è utile che siano spezzettate e che non siano allegate ma online. Il messaggio deve essere leggibile anche senza immagini. Niente immagini di sfondo, niente nomi di file generici (es. “a.jpg”) o contenenti spazi. Specifichiamo l’attributo “alt” e “title” per ogni immagine.
  • Usi e abusi – Occorre prestare particolare attenzione all’evitare che terzi, con o senza il nostro consenso, (rappresentanti, SPAMMER, clienti, amici, ecc.) utilizzino i nostri server/domini/account a scopo di SPAM. A tal proposito può essere d’aiuto specificare sul proprio sito un’area dedicata alle segnalazioni di abusi nonchè effettuare controlli a campione.
  • L’aspetto formale – Cerchiamo di scrivere solo a chi ci ha dato consenso esplicito (tramite accettazione di un contratto) e di specificare sempre le modalità di deiscrizione; in questo modo evitiamo di essere segnalati come SPAMMER e manteniamo i contatti con le persone che davvero sono interessate a ciò che proponiamo.
  • L’aspetto umano – Cerchiamo di non essere mai inopportuni, di offrire contenuti di valore (utili, interessanti e/o divertenti), non dobbiamo imporci ma farci scegliere (ecco alcuni consigli su come scrivere una newsletter efficace).
  • Modalità di invio – L’indirizzo e-mail del mittente visualizzato deve corrispondere a quello di effettivo invio, non deve comparire in nessuna blacklist e deve essere univoco (evitiamo di creare un mittente casuale per ogni e-mail). Se ci è possibile non scordiamo di impostare il record SPF (per farci autenticare come mittenti validi).
  • Il server di invio – La reputazione dei server è molto importante. Mai inviare grossi quantitativi di e-mail da un IP non statico, da un server open relay (senza autenticazione), o ancora da un server già inserito in blacklist; è altresì importante mantenere i record DNS inversi validi per gli indirizzi IP da cui inviamo (devono puntare al nostro dominio). L’HELO deve infine corrispondere all’MX impostato nei DNS.

Seguire queste norme naturalmente non garantisce un recapito certo (ogni client ha parametri e filtri differenti) ma riduce di un buon 95% la probabilità di essere ingiustamente intercettati. Va infine detto che non tutti i parametri descritti sono determinanti, anzi, queste indicazioni vanno prese come piccole gocce che da sole non danno problemi ma che insieme possono riempire  e far traboccare il “bicchiere”. A coronare un buono studio su come non essere catalogati come SPAM non può non mancare una seria e ampia fase di test su  più client (Gmail, Outlook, Yahoo, Hotmail, ecc.).

Il calo dei siti web aziendali. Servono ancora?

Superato dai social media, il sito aziendale vive un momento di difficoltà. «Non “uccidetelo”, ma fatene l’hub della vostra presenza digitale»: è il consiglio che arriva da un articolo di Forbes, dove però si prende atto che i segnali di crisi esistono

Già un paio di anni fa si iniziò a parlare del declino di queste pagine. Poi è arrivato il calo del 70% del traffico web e altri segnali ancora più forti. Il traffico del sito di Coca-Cola, per esempio, è sceso di oltre il 40% in 12 mesi e quello di Nabisco di quasi il 74% in un anno.

Uno studio condotto da WebTrends ha poi confermato che la maggioranza di Fortune 100 siti web (68%) ha registrato una crescita negativa, con un calo medio del 23% di visitatori unici, mentre  il traffico di Facebook è chiaramente in crescita.

E’ giunto il momento di chidere i siti e traslocare su Fb? In molti hanno risposto di no. Come quel cliente di una media agency che ha detto di non voler limitarte la sua presenza a quello che ha definito uno “stato autoritario”. Perché non bisogna dimenticare che su Fb non si è padroni a casa propria. Le regole del gioco possono cambiare. E un’altra piattaforma può soppiantare quella al momento vincente.

E allora la ricetta prevede che il sito di venti l’hub della presenza dell’azienda nel mondo digitale, mobile compreso. Contemporaneamente bisogna sempre essere presenti sui social media cercando di sfruttare  le caratteristiche di ognuno.

Così per Fb è fondamentale curare con attenzione l’immagine principale della pagina. Deve essere bella, accattivante e pertinente. La timeline deve raccontare una storia, ricordare gli eventi aziendali con l’obiettivo di creare quel coinvolgimento necessario perché la presenza sui social media abbia senso.

Davia Termin, autrice dell’articolo ed esperta di strategia online, parla anche di strategia seguita minuto per minuto in modo da adeguare in tempo reale i contenuti ai gusti e alla richieste degli utenti.

In questo è necessario utilizzare le app di Fb che permettono di avere una maggiore flessibilità dei contenuti e ospitare gare e iniziative promozionali interessanti per i brand.

Non bisogna essere timidi. Anche le piccole aziende che iniziano il loro viaggo su Fb devono cercare subito di aumentare la massa critica dei loro fan. Si parte dai dipendenti e dai loro amici per allargare poi il raggio d’azione.

L’immagine di copertina è importante anche per Linkedin dove  bisogna fare anche un uso accorto delle tab “”Approfondimenti”, “Servizi”, per esempio) che servono a diversificare la propria presenza.

Includete anche i vostri dipendenti e assicurategli anche risorse utili per il loro lavoro. Create un gruppo e incoraggiate dipendenti e stakeholder ad aderire. In questo modo le persone potranno avviare discussioni o brainstorming. Il gruppo però deve essere chiuso in modo da evitare spammer e altri input estranei. A questo punto però non dimeticatevi della pagina Linkedin perché sarà importante partecipare all discussioni, far sapere il punto di vista dell’azienda.

Nel caso di Google+ i consigli sono simili a quelli di Fb con l’aggiunta che è importante sincronizzare il tutto con Youtube, un ulteriore canale per i messaggi aziendali.

Tutte queste presenze dovranno poi essere armonizzate nel sito istituzionale che dovrà comunque avere contenuti dinamici e farsi trovare sui motori di ricerca. Forse non sarà più la home page della presenza sul web di un’azienda, ma luogo “sicuro” dove lanciare i propri messaggi poi declinati sulla altre piattaforme.

 

Fonte: ict4executive.it

Mobile Marketing in Italia, è l’ora di una vera strategia multicanale

Nel 2013 il Mobile Advertising nel nostro Paese è cresciuto del 129% superando i 200 milioni di euro, mentre milioni di utenti smartphone mostrano forte interesse per la pubblicità e i coupon ricevuti sui propri device. «La trasformazione delle abitudini dei consumatori impone un ridisegno completo dei punti di contatto con il cliente, in cui il Mobile gioca un ruolo chiave». I responsi della nuova edizione dell’Osservatorio Mobile Marketing e Service del Politecnico di Milano

La rivoluzione Mobile in Italia conta ormai su numeri di massa: 37 milioni di smartphone, e 27 milioni di persone che li usano per navigare su internet almeno una volta al mese, ma il 73% (tre su quattro) naviga ogni giorno, in media per 75 minuti: una quantità di tempo che in un solo anno è cresciuta del 25%.

A tutto ciò corrisponde una buona predisposizione dei consumatori in mobilità per l’interazione con il mondo del business: il 71% usa lo smartphone all’interno dei negozi (i cosiddetto “showrooming”), soprattutto per confrontare i prezzi (42%) o cercare più informazioni sui prodotti (25%), il 47% ha ricevuto buoni sconto su Mobile e, tra questi, quasi la metà ha valutato l’esperienza molto positiva (dando un voto da 9 a 10), mentre l’85% ricorda di aver visto annunci pubblicitari su smartphone e il 51% li ha cliccati almeno qualche volta. Un trend, quest’ultimo, che trova conferma nell’esplosione del mercato del Mobile Advertising, la pubblicità su Mobile, che considerando il solo formato smartphone, in un anno è più che raddoppiato nel nostro Paese (+129%) superando i200 milioni di euro in valore.

Questi i principali dati della nuova edizione dell’Osservatorio Mobile Marketing e Service della School of Management del Politecnico di Milano, presentato proprio stamattina al Campus Bovisa dell’ateneo milanese in un affollato convegno. Dati certamente positivi, che però, avvertono i ricercatori del Politecnico, devono segnare una discontinuità: è il momento in cui occorre smettere di considerare il Mobile come un canale a sé stante, e sfruttarne appieno le caratteristiche del tutto uniche all’interno di una nuova e completa strategia di relazione con il cliente.

«La trasformazione delle abitudini dei consumatori indotta dal Mobile impone a sempre più aziende un ridisegno completo dei punti di contatto con il cliente, dal punto vendita, ai canali promozionali, ai mezzi pubblicitari – ha detto alla presentazione del Report Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Mobile Marketing & Service -. E all’interno di tale ridisegno il Mobile gioca un ruolo chiave per la sua pervasivitàsia in termini di diffusione, sia di contesti e momenti d’uso (lo smartphone è sempre con noi), ma soprattutto per la sua capacità di potenziare gli altri mezzi. Ma per realizzare appieno i benefici potenziali dalle iniziative Mobile diventa necessario inserirle in una più ampia strategia multicanale».

Se questo “mobile CRM complessivo” è ancora in gran parte dei casi un traguardo da raggiungere, però, la ricerca mostra chiaramente un crescente interesse e livello di adozione da parte delle imprese in Italia di iniziative Mobile in tutto l’ambito che va dalla pubblicità (Mobile Advertising) alle promozioni (Mobile Promotion) all’uso di App e Mobile site, interni o di terze parti.

«L’impatto della diffusione del Mobile passa così dai consumatori alle aziende e a tutto l’ecosistema dei servizi di marketing e comunicazione, imponendo a centri media, concessionarie, editori e agenzie di comunicazione un ripensamento del ruolo, dell’offerta di contenuti editoriali, dell’integrazione tra questi e i contenuti pubblicitari e della continuità di esperienza su più mezzi, nonché dei rapporti tra i diversi attori», ha osservato Andrea Boaretto, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Mobile Marketing & Service.

 

Display e Keyword Advertising, crescite a tre cifre

Scendendo più in dettaglio nel mercato del Mobile Advertising, nel 2013 in Italia il valore è cresciuto del 129%, raggiungendo così un valore stimato di 204 milioni di euro. Un dato che, scorporando la quota relativa alla messaggistica, rappresenta il 10% di tutti gli investimenti pubblicitari su internet e il 3% dell’intero mercato pubblicitario in Italia. Incrementi impressionanti si registrano in particolare sia per la componente di Display Advertising (+127%), sia per quella di Keyword Advertising (+237%), mentre per quanto riguarda i player del settore, Google e Facebook da soli rappresentano circa il 70% dell’intero mercato, con gli altri che, pur crescendo a due cifre, rappresentano ancora quote piuttosto piccole: altri ad-network, player specializzati in Mobile Advertising, concessionarie degli editori premium.

Per quanto riguarda invece la Mobile Promotion, le aziende stanno sfruttando – o progettando di sfruttare – le opportunità di dematerializzazione (volantini, cataloghi, carte fedeltà, coupon), personalizzazione, e “gamification” offerte dal Mobile. «Ad oggi, solo poco più del 10% dei Retailer italiani che hanno sviluppato un’App ha già inserito servizi di Mobile Couponing, ma ci aspettiamo nel 2014 un allargamento dell’offerta – ha spiegato Marta Valsecchi, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Mobile Marketing & Service -. Non si tratta solo di dematerializzare i Coupon, ma di ripensare, grazie al Mobile, i modelli di distribuzione degli stessi, alla luce delle opportunità offerte dal Mobile: personalizzazione delle offerte, geo-localizzazione in prossimità o dentro il punto vendita».

Evidentemente, continua Valsecchi, questo richiede un ripensamento complessivo delle strategie di marketing legate a promozioni e fidelizzazione, e quindi importanti investimenti, ma visti i cambiamenti in atto tra i consumatori nel processo d’acquisto, in alcune aziende in particolare, tali dinamiche sono inevitabili, soprattutto se si considerano i benefici, che riguardano sia i produttori, sia i retailer, sia i consumatori. Quanto allagamification, cioè la capacità di indurre i consumatori a determinati comportamenti (condivisioni su social network, check-in in punto vendita, ecc.) premiandoli con punti fedeltà, il report parla ancora di sperimentazioni e adozioni a rilento.

 

App e Mobile Site: i casi (molto diversi) del Retail e del Largo consumo

Infine un ultimo punto riguarda l’approccio delle aziende ai “Mobile Asset”, e cioè App e Mobile Site. Per interagire con i consumatori è sempre più diffuso il ricorso a una o entrambe queste soluzioni, con penetrazioni in alcuni settori – come il Retail – già oltre il 50%. Gli obiettivi sono molto vari, e per dimostrarlo i ricercatori propongono un confronto tra il mondo Retail e i produttori del Largo consumo.

Per quanto riguarda il Retail, vi è una forte focalizzazione sui servizi di pre-vendita, come store locator, volantino e catalogo prodotti; il 100% delle App e dei Mobile site include almeno uno di questi servizi. Ancora ridotto invece appare l’uso di servizi di dematerializzazione delle Loyalty card e di Couponing. Al contrario, il Largo consumo(dove la penetrazione di App e Mobile site si “ferma” al 36%) si pone per lo più obiettivi di entertainment e condivisione social. Quasi la metà delle App in questo settore, infatti, punta a far condividere contenuti tra gli utenti, e quasi il 30% offre attività di gaming, mentre decisamente più ridotta risulta l’offerta di contenuti informativi e di servizio.

 

Fonte:

Daniele Lazzarin

http://www.ict4executive.it/

Piace l’acquisto online, specie se è operato in mobilità

Un elemento da non sottovalutare per i retailer interessati a mettere a frutto le potenzialità offerte da Internet introducendo nuovi modelli di acquisto, anche all’interno dei propri store fisici. Spazio, quindi, a QR code e Wi-Fi gratis all’interno degli store tradizionali.

Sempre più centrali nella vita di ogni consumatore, i device mobili sono sempre più utilizzati dai consumatori per fare acquisti o reperire informazioni durante lo shopping dentro o fuori le mura di casa.

Lo conferma l’indagine condotta da Portaltech Reply in collaborazione con eDigitalResearch su un campione di 1.000 consumatori inglesi, e i cui risultati, raccolti nell’Osservatorio Portaltech Reply sull’ecommerce, evidenziano nuove opportunità per i retailer interessati a fidelizzare i consumatori regalando nuove esperienze di acquisto.

Piace l’acquisto su tablet
Inclusi per la prima volta anche i possessori di tablet, il campione rappresentativo analizzato dalla realtà del gruppo Reply e dalla società di ricerca attiva nel settore business online e multicanale ha messo in luce come il 90% di chi possiede un dispositivo di questo tipo ricerchi informazioni online concludendo, in ben il 79% dei casi, il proprio acquisto via tablet.

Non solo.

Stando ai risultati contenuti nell’Osservatorio Portaltech Reply, il 66% del campione intervistato farebbe acquisti direttamente dal proprio device mobile, registrando un incremento di 14 punti percentuali nello shopping su base settimanale, ora al 32%, rispetto a quanto riportato solo un anno fa.

A crescere del 36% negli ultimi 12 mesi è stato anche il 68% dei possessori di smartphone che utilizza il proprio device connesso per fare acquisti o trovare informazioni su qualche prodotto anche mentre fa shopping fuori casa, nonostante sia tra le mura domestiche che si registra un ulteriore aumento di 10 punti percentuali degli acquisti via smartphone o tablet (78%).

Acquisti via sito mobile o applicazione ad hoc?
Tra chi si collega a Internet mentre è a fare shopping, il 47% lo fa per navigare, il 31% per passare il tempo, e il 20% per concludere un acquisto in un negozio, mentre si conferma la tendenza da parte del consumatore a preferire l’acquisto in Rete tramite sito mobile (48%) piuttosto che tramite applicazione ad hoc (41%).
Con ciò, resta da sottolineare che, tra coloro che utilizzano un’app, la frequenza di acquisto è maggiore grazie al fatto che, spesso, quest’ultima assicura un accesso più immediato al prodotto desiderato.

Nuove opportunità per i retailer che non temono l’ecommerce
Un elemento da non sottovalutare per i retailer interessati a mettere a frutto le potenzialità offerte da Internet introducendo nuovi modelli di acquisto, anche all’interno dei propri store fisici.

L’attenzione, si sa, è volta a iniziative da implementare quali la disponibilità di Wi-fi gratuito per i clienti, Qr code in grado di rimandare a ulteriori informazioni sui prodotti per coinvolgere maggiormente gli utenti e migliorare la loro esperienza di acquisto, fidelizzandoli.

Anche perché, sempre in base allo studio condotto, il 29% dei clienti che fanno acquisti dal proprio device, tramite sito mobile o applicazione, su base settimanale o mensile, sarebbe “molto interessato” a ricevere sul proprio dispositivo informazioni sulle offerte disponibili, magari appena varcata la soglia del negozio.
Una percentuale che sale fino al 50% tra coloro che acquistano regolarmente in Rete e si dicono interessati a ricevere offerte personalizzate dai propri brand preferiti.

Fonte: http://searchcio.techtarget.it/01NET/HP/0,1254,17_ART_155093,00.html

Arrivano i nuovi domini Internet: un novità per il marketing

L’Icann dà il via ai suffissi come .auto, .shop, .shoes, ma anche .Gucci e .Ferrero: dai 22 attuali, esclusi quelli nazionali, potranno arrivare a 1.400. Una rivoluzione, che porta con sè non poche polemiche e che permetterà di indirizzare online comunità specifiche di consumatori. Ne parliamo con Jerome Sicard di MarkMonitor, registrar che aiuta i suoi clienti a disegnare una strategia per fronteggiare la nuova situazione

Ancora pochi giorni e scatterà la rivoluzione dei domini che dai 22 attuali, esclusi quelli nazionali, potranno arrivare a 1.400. Una nuova geografia dei General top level domain che prevede una maggiore verticalizzazione delle estensioni con l’arrivo di .auto, .shop, .shoes solo per fare qualche esempio. Senza contare che alcune aziende (in Italia Gucci, Ferrero e Fiat) avranno le estensioni che corrispondono al brand.

Una rivoluzione, spiega Jerome Sicard, Regional director Southern Europe di MarkMonitor, “che rappresenta un’opportunità per le aziende che possono in questo modo creare comunità formate dai consumatori appassionati dei loro marchi. Senza arrivare ad acquisire un dominio aziendale è possibile infatti acquistare una estensione all’interno del dominio principale. .car.nomeazienda, oppure .luxury.nomeazienda.

Sicard non nasconde che l’allargamento della base domini da parte dell’Icann non è stata una decisione esente da polemiche. “Il problema non sono i domini aziendali, ma quelli generici, circa 600 su 1.400, che se da una parte sono un’opportunità dall’altra complicano la vita delle aziende”. E qualcuno ha parlato anche di ricatto.

L’idea è di segmentare la Rete dirottando i consumatori su domini, per esempio .luxury che ospiteranno i maggiori brand mondiali. Per le aziende diventa quindi quasi obbligatorio essere presenti acquistando nuove estensioni. “Perché se qualcuno registra il .luxury.nomeazienda con il tuo marchio è poi possibile recuperarlo tramite un’azione legale, ma si tratta di procedure non certo economiche che comportano qualche mese per essere portate a termine”.

In più molte aziende non possono limitarsi a comprare un solo dominio ma ad assicurarsi anche la versione in cinese e quella che riguarda un settore di business confinante. Un brand del mondo fashion dovrebbe essere quindi presente nel .luxury, .shop se fa scarpe anche nel .shoes con le varie declinazioni in altre lingue.

Da cinquantamila a centomila euro con un centinaio di nuove estensioni per una società internazionale è la spesa stimata da MarkMonitor, il registrar che aiuta i suoi clienti a disegnare una strategia per fronteggiare la nuova situazione mettendo anche in sicurezza i nuovi suffissi. Si tratta di una stima “minima e conservatrice” precisa il manager della società.

La vicenda pone anche seri problemi di sicurezza. Da una parte infatti ci sono le forme di protesta di Anonymous e dall’altra le iniziative ben più pericolose di organizzazioni criminali che prendono il controllo di domini commerciali o dei server di mail. “le possibilità di attacco quando si prende il controllo di un dominio commerciale sono moltissime”, spiega Sicard, aggiungendo che basterebbe dotarsi di un registry lock che blocca l’accesso ai server per dormire sonni molto più tranquilli. Un servizio dal costo bassissimo, un migliaio di euro, che MarkMonitor assicura ai suoi clienti (fra i quali ci sono anche Google e Microsoft) ma che non è molto diffuso anche in Italia dove spesso la gestione dei domini in mano all’ufficio legale per le questioni legate alla proprietà intellettuale.

Negli Usa però tutto è nella mani del marketing soprattutto ora che arrivano le nuove estensioni “che cambieranno il modo di vendere online e porteranno a un approccio più collaborativo fra e-commerce e area legale”. I domini sono ormai entrati a fare parte del marketing mix.

 

Fonte:

Wireless 4 Innovation – eMart

“Sunny Sale” di eMart: successo per l’iniziativa che offre sconti speciali tramite QRCode solo all’ora di pranzogiugno 2012Inquadrando un QR-code con la fotocamera integrata del proprio smartphone è possibile ordinare della merce a casa con sconti speciali, ma c’è una particolarità: i codici disseminati per la città di Seul in Corea del Sud sono utilizzabili solo ad orario di pranzo. È solo tra le 12 e le 13, infatti, che grazie al sole le ombre degli elementi tridimensionali posti su un pannello compongono il codice, rendendolo utilizzabile. Questa l’originale campagna di marketing lanciata a gennaio da eMart – importante catena di supermercati in Corea del Sud che conta 141 punti vendita sul territorio nazionale – per promuovere gli acquisti in una fascia oraria in cui normalmente le vendite subiscono una drastica flessione. Le installazioni sono oggi presenti in 36 diverse località dell’area metropolitana di Seul e hanno da subito ottenuto grande successo. Gli utenti si sono mostrati entusiasti e i risultati non hanno tardato ad arrivare: ad un mese dal lancio del progetto sono infatti 12.000 i coupon utilizzati dagli utenti, le iscrizioni al programma di fidelizzazione della catena sono aumentate del 58% e le vendite nella fascia oraria 12-13 hanno registrato un +25%. A questi risultati si aggiunge la non meno importante pubblicità derivante dalla risonanza ottenuta dall’insolita iniziativa pubblicitaria sui principali mezzi di informazione nazionali e internazionali.

viaWireless 4 Innovation – eMart.

I social network dei professionisti, fra cautela e curiosità

Le reti sociali sono potenzialmente un nuovo strumento di comunicazione e contatto con colleghi e clienti, ma tutti concordano di non poter affidare al caso la partecipazione. Le opinioni di avvocati, commercialisti, notai e architetti.

Esperienze

Curiosità, interesse. Ma anche cautela. È con un misto di sentimenti che molti professionisti stanno guardando ai social network, in questo periodo.

O, almeno, questo è vero per i più attenti alle novità che vengono dai nuovi media, a quanto risulta da una ricognizione compiuta su cinque di loro (due avvocati, un commercialista, un notaio e un architetto).

Sono professionisti noti per avere una certa familiarità con le nuove tecnologie. Si rendono conto che i social network sono potenzialmente un nuovo strumento di comunicazione e contatto con colleghi, studenti . E anche un modo per farsi conoscere professionalmente.

Tuttavia, qualunque sia il loro livello di utilizzo dei social network, tutti concordano di non poter affidare al caso la propria partecipazione. C’è una bella differenza, insomma, tra l’uso personale e quello professionale.

Se si aderisce a un network, a scopi professionali, bisogna per prima cosa seguirlo con attenzione, partecipare con costanza e contribuire con contenuti rilevanti (non scritti di getto). Infine- concordano-, bisogna avere cautela su quello che si scrive: il rischio di diffondere informazioni riservate è sempre in agguato.
Le esperienze
La selezione è importante, non solo dei contenuti ma anche dei posti da presenziare. «Quando sono sbarcato sui social non c’erano molti colleghi e mi sono messo ad osservare: volevo capire come un avvocato potesse utilizzare questo nuovo strumento per fini professionali. Li ho provati tutti, ma ho conservato i profili solo su alcuni, quelli più utili per un avvocato (Linkedin, Twitter, Facebook e Google+)», dice Ernesto Belisario, avvocato pioniere di questi temi.

«Dopo tanta osservazione ho iniziato a condividere: notizie, approfondimenti, eventi. È grazie ai social che mi informo, che dialogo con amici e clienti. Ma senza l’ossessione del numero di follower: dopotutto, non sono “Lady Gaga”», aggiunge. A conferma che per un professionista sui social vale più la selezione (la “qualità”), che la quantità. In generale quindi contano criteri diversi rispetto a quelli di una partecipazione personale.

Concorda Guido Scorza, avvocato specializzato in nuove tecnologie: «sui social ho condiviso e continuo a condividere informazioni e questioni delle quali mi occupo professionalmente. O di cui ci si occupa nel mio studio. È un modo per fare informazione giuridica e confrontarsi con colleghi e società».

Molto intensa è l’attività social professionale di Arrigo Panato, commercialista: «il mio studio è presente su tutti i principali social network con una propria pagina alimentata automaticamente dagli aggiornamenti dei nostri blog o riportando gli articoli apparsi su riviste professionali», dice. È un approccio cattedratico, perché «il dialogo con la rete preferisco gestirlo in prima persona con il mio account personale».

«Una pagina Facebook deve essere molto focalizzata. noi gestiamo sia una pagina di studio sia una pagina di supporto al manuale sulle perizie di stima. Questa ci sta dando molte soddisfazioni e ha superato i 300 fan. Per essere un argomento così specifico anche per i commercialisti non è poco», continua.

«Alcuni studenti hanno usato il libro e la pagina Facebook per preparare la tesi, scambiarsi consigli e chiedermi suggerimenti. in poco tempo si è creata quasi una comunità di pratica».

Diversa è l’esperienza di Fabio Fornasari, architetto: «ogni mio progetto si misura a diversi gradi in generale con la rete. Per esempio http://laboratoriomuseodiffuso.wordpress.com. In ambiente fisico raccolgo i commenti giacché la gente è restia a parlarne. Ma su alcune pagine Facebook si trovano scambi che fanno riferimento al progetto». «Non uso troppo Twitter, per mancanza di tempo. Facebook  sì perché qui i contributi giocano non sul secondo ma sulle ore: riesco meglio. Ma potessi avere qualcuno che lavora per me lo userei di più. LinkedIn lo aggiorno non troppo spesso, ma penso sia utile», aggiunge.

Il notaio Giampaolo Doria invece sta ancora valutando il da farsi. «Il nostro studio non si è ancora dotato di una pagina su nessun social network, pur essendo presente su internet con un proprio sito», spiega. Tuttavia, «stiamo lavorando ad un sito di nuova generazione che ci consenta di pubblicare immediatamente anche su Facebook alcune notizie mano a mano che le pubblichiamo sul nostro sito».

Perché questa scelta? «Fino ad oggi siamo stati molto prudenti con questo tipo di apertura perché per il tipo di attività professionale svolta abbiamo sempre ritenuto preferibile mantenere un atteggiamento piuttosto sobrio».
«Nondimeno, i recenti sviluppi normativi, in materia di deregolamentazione delle libere professioni,  stanno spingendo sempre di più i liberi professionisti a dover essere maggiormente incisivi nel mercato e, quindi, a dover impiegare sempre di più ogni tecnica per farsi conoscere da un pubblico più o meno ampio».
L’utilità dei social
Prima di vedere come usare i social con efficacia, chiediamoci a che cosa possano servirci. Belisario ritiene che ci siano tanti motivi per cui un professionista dovrebbe utilizzare i social media.

«Il primo: nella società dell’informazione, non è più possibile aspettare di ricevere la rivista cartacea per approfondire e studiare. Nel 2012, la tempestività nell’accesso alla conoscenza diventa un importante fattore competitivo e può essere assicurata solo attraverso i social; il primo passo per un professionista dovrà essere quello di selezionare attentamente i contatti tra le fonti più autorevoli nelle materie di attività».

Il secondo motivo: «grazie ai social possiamo conoscere in modo puntuale i trend del mercato, in modo da poter intercettare al meglio le esigenze dei clienti (acquisiti e potenziali)».

«Infine, certo c’è un’utilità promozionale e di marketing; ma attenzione a non enfatizzare: i clienti non arriveranno solo perché siamo sui social, ma se dimostreremo di essere seri e competenti».

Sulla stessa linea Scorza: «la presenza di uno studio sui social ha un duplice valore: è un’importante vetrina per presentarsi ad un pubblico ormai amplissimo di potenziali clienti in modo, peraltro, colloquiale e non “aggressivo” e, soprattutto, consente di intercettare esigenze e problemi della società, dei cittadini e delle imprese con straordinaria rapidità. Si può rispondere così a un’esigenza di costante aggiornamento. Fondamentale per uno studio professionale moderno».

Panato insiste sull’aspetto di arricchimento e conoscenza: «è incredibile la ricchezza di suggerimenti e proposte che possono arrivare dalla rete per ridisegnare lo studio professionale, per ridefinire la nostra strategia, per restare aggiornati ed approfondire argomenti specifici anche professionali».
I consigli
Ma come usare i social network?  C’è una regola d’oro, concordano i professionisti: bisogna partecipare attivamente ai social dove si è presenti. «Se si sceglie di esserci, occorre investirci tempo e risorse. Frequentare la pagina, coltivarne gli utenti e tenerla aggiornata, verificando, costantemente, i feedback che si ricevano», spiega Scorza. «Niente di peggio di invitare qualcuno a casa propria per un confronto, dichiararsi disponibili al dialogo e poi non dedicargli tempo e attenzioni».

«Ma bisogna evitare di essere autoreferenziali», precisa Belisario. «Le persone non hanno tempo da perdere e non sono interessate a chi si imbroda, bisogna accettare le dinamiche del Web 2.0.

Bisogna anche mettersi dalla parte dell’utente: cercando di capire qual è il valore aggiunto che un utente ha se ci segue. E quindi lavorare sui contenuti di qualità», aggiunge.

Concorda Panato: «Il rischio su Facebook è confondere il lato personale con quello professionale e perdere di costanza e profondità negli aggiornamenti. Per essere credibili bisogna essere costanti e pubblicare approfondimenti attendibili nonostante lo strumento spesso porti a privilegiare l’immediatezza ed una certa superficialità».

Infine, una cautela: «attenzione alla riservatezza: non divulgare informazioni che devono rimanere segrete», dice Belisario. «Non bisogna mai dimenticare i poteri e doveri di sorveglianza dei rispettivi organi o ordini di appartenenza, i quali continuano a vigilare sui contenuti social. Con risvolti certamente ancora da scoprire», dice Doria.

di Alessandro Longo

fonte: ict4executive.it

Oltre la Customer satisfaction

Oggi ciò che influisce di più sull’inclinazione dei clienti a spendere per un brand è da un lato il miglioramento della Customer experience e dall’altro la possibilità di accedere rapidamente alle informazioni e di rivolgere domande all&apos;azienda. Uno studio europeo commissionato da Oracle, che coinvolge chi acquista online, spiega perché il servizio al cliente deve fare ancora dei passi avanti

La Customer satisfaction non basta più, ora è il momento della Customer experience. Lo afferma Oracle che ha presentato i risultati di studio nel quale sostiene come la Customer experience svolga un ruolo chiave ai fini della crescita del fatturato delle imprese europee e rappresenti un canale privilegiato per la differenziazione del marchio, in un’economia nella quale prodotti e servizi diventano sempre più una commodity.

Il diverso rapporto con i clienti e la loro esperienza d’acquisto fanno la differenza al punto che lo studio, titolato “Perché la Customer Satisfaction non basta più!” spiega che nell’81% dei casi i consumatori/acquirenti sarebbero disposti anche a pagare di più pur di vivere un’esperienza di acquisto qualitativamente migliore (89% in Italia). E circa la metà (44%) si è detta pronta a pagare un sovrapprezzo di oltre il 5% (il 32% in Italia).

Ciò che influisce di più sull’inclinazione dei clienti a spendere di più per un brand sono da un lato il miglioramento della Customer Experience in generale (40% della totalità del campione, 30% dei rispondenti italiani) e dall’altro la possibilità di accedere rapidamente alle informazioni e di rivolgere domande all&apos;azienda (35% della totalità del campione, 44% italiani).

I clienti soddisfatti sono pochi

Realizzato a livello europeo nel giugno 2012 dalla società di ricerca Loudhouse che ha coinvolto 1.400 consumatori che hanno fatto acquisti online (50% donne, 50% uomini) e che sono entrati in contatto con un dipartimento di customer service nei 12 mesi precedenti, il report spiega che il 70% degli intervistati ha smesso di acquistare un determinato brand dopo un&apos;esperienza insoddisfacente (62% in Italia) rivolgendosi nel 92%dei casi a una marca concorrente (94% in Italia).

Dall’indagine i customer service non ne escono molto bene. I clienti soddisfatti sono il 22% in totale e il 20% in Italia. Esistono ampi margini di crescita anche perché fra i cinque elementi che motiverebbero i consumatori a spendere di più ci sono il miglioramento della Customer experience in generale (40% – 30% in Italia), la garanzia di poter rivolgere agevolmente domande e di poter avere informazioni con facilità prima di effettuare un acquisto (35% – 44% in Italia) e l’adozione per il 32% (29% in Italia) di policy che facilitino la restituzione dei prodotti.

Online contano usabilità e personalizzazione

Visto che il campione è fatto di acquirenti online, gli ultimi due motivi per consumare di più riguardano il miglioramento dell’usabilità e delle funzioni di ricerca del sito web (26% -13% in Italia) e una maggiore personalizzazione dell’esperienza d’acquisto dei clienti (20% in totale e in Italia).

Una forte richiesta di semplificazione arriva dall’82% degli utenti (85%) che descrive le proprie esperienze come eccessivamente complesse, suggerendo che la fedeltà a un marchio sia strettamente legata alla semplicità di comunicazione. I clienti hanno confermato di aver dovuto utilizzare modalità di contatto diverse in caso di problemi (26%, in Italia 27%) e di averle dovute utilizzare più volte (24%, in Italia 25%). Dialogare con il customer service non è sempre facile.

Visto che si parla di online c’è spazio anche per i social media. Molte imprese non li starebbero sfruttando al meglio. Solo il 46% dei clienti ha ricevuto un feedback dopo aver postato un commento. Una piccola attenzione che ha gratificato il 27% dei consumatori. Il 9% ha reagito postando un commento positivo sull’organizzazione, il 6% è divenuto un cliente fedele, acquistando più prodotti o servizi e il 6% di intervistati ha cancellato il post negativo originario. Attenzione però al tipo di risposta. il 29% dei clienti si è arrabbiato nel momento in cui la risposta ricevuta non ha portato alla risoluzione del problema.

Un dato importante perché può tradursi in immagine negativa per il brand. Tra i fattori che sembrano maggiormente influenzare le decisioni d&apos;acquisto, oltre al prezzo (56%, 52% in Italia), ci sono infatti proprio le review dei consumatori (47%, 52% in Italia) che frequentano soprattutto Facebook (26%), forum (16%), blog (9%) e Twitter (6%).

Fonte: ict4executive.it di Luigi Ferro

Credibilità sul web

Sei credibile sul web se hai due peculiarità immancabili: l’autorevolezza e la competenza. Ambedue i concetti possono essere sia oggettivi che soggettivi, e dipendono dalla sensibilità, da credenziali, dai “titoli”, dalla nostra percezione, che è spesso legata a fattori secondari come il carisma, il fascino, la capacità attrattiva.

Così siamo portati a credere più facilmente a colui che ci appare attraente, e meno a chi sembra un poco di buono. O almeno così dovrebbe essere…
Con i media (e con internet) la cosa si complica non poco perchè non vi è un contatto diretto, non vi è, e mai ci potrà essere empatia: ci manca la sensibilità della comunicazione non verbale che spesso è un segnale inequivocabile di buona fede e di fiducia altrui. È un tema dibattuto da molti anni, per cui non è facile definire regole generali quando ci riferiamo alla credibilità di un sito web o di una struttura organizzata che lo gestisce.


Certificarsi e dimostrare competenza attraverso vie non soggettive è uno dei metodi perseguiti dalla maggior parte dei siti autorevoli
, ma oggi dimostrare a chi ci segue questo importante fattore non è per nulla semplice, ne tantomeno scontato il metodo da utilizzare. Ma possiamo fare una piccola cernita delle caratteristiche che possono aiutarci a rendere credibile il nostro sito e il prodotto che offriamo. Ecco un breve elenco di ciò che ogni sito web che si rispetti deve esprimere a chi lo visita:


Rendi semplice la verifica dell’esattezza delle informazioni sul tuo sito

È possibile creare una credibilità sul web per il tuo sito fornendo collegamenti a fonti di terze parti (citazioni, riferimenti, fonte di materiale). Anche se le persone non seguiranno questi link, hai dimostrato fiducia nel materiale che inserisci nella tua creatura. Ti sei appoggiato su altre risorse che hai ritenuto importante riportare, ed i tuoi  visitatori saranno felici di approfondire.

Mostra che c’è una vera e propria organizzazione dietro al tuo sito

Cerca sempre di far risultare che dietro al tuo sito web vi è un’organizzazione legittima che promuoverà la credibilità del sito. Il modo più semplice per farlo è elencare un indirizzo fisico. Altre caratteristiche possono aiutare, come postare una foto dei vostri uffici o l’inclusione della Partita IVA che dimostra l’appartenenza ad un ente pubblico importante come la camera di commercio.

Evidenzia le competenze all’interno dell’organizzazione, nella stesura dei contenuti e nei servizi che fornisci

Avete esperti nel team che sviluppa il sito? Sono tuoi collaboratori o dei fornitori esterni di servizi autorevoli? E’ cosa buona mostrare le credenziali tue e dei tuoi collaboratori. Se sei legato ad un’organizzazione rispettata è chiaro e di fondamentale importanza informare i tuoi visitatori di ciò. Viceversa, evitare di collegarsi a siti esterni che non sono credibili. Il vostro sito diventa meno credibile anche per semplice associazione (la psicologia sul web insegna).

Dimostra che il sito è circondato da gente onesta e degna di fiducia

Per prima cosa mostra che ci sono persone reali dietro il sito. Quindi, trova un modo per manifestare la loro attendibilità attraverso immagini o testo. Ad esempio, potresti inserire alcuni post biografici dei dipendenti che raccontano della loro famiglia o dei loro hobby.

Rendi semplice contattarti

Un modo semplice per aumentare la credibilità del tuo sito è quello di rendere facilmente rintracciabili le informazioni di contatto: telefono, l’indirizzo fisico e indirizzo email

Progetta il tuo sito in modo che abbia un aspetto professionale

E’ noto che la gente valuta rapidamente un sito dal design. Nel progettare il tuo sito, prestare attenzione al layout, alla tipografia, alle immagini, alla coerenza delle pagine.

Rendi il tuo sito facile da usare, e sopratutto utile

Due orientamenti in uno. E’ scontato che i siti vincenti sono quelli facili da usare e utili per chi vi approda. Alcuni webmaster dimenticano gli utenti ed il rispetto che essi meritano. Abbagliare i visitatori non è eticamente corretto, e presto verrete sgamati che quello che presentate non risponde al vero. L’autopromozione è un brutto difetto per qualsiasi azienda, e anche per un sito web.

Aggiornare il contenuto del tuo sito spesso (o almeno mostrare che esso è stato rivisitato di recente)

Le persone assegnano più credibilità a siti spesso aggiornati o che rivisitano i loro contenuti inserendo fresche e nuove informazioni.

Usare la moderazione per qualsiasi contenuto (sopratutto annunci o offerte)

Se possibile, evita di avere annunci sul tuo sito. Se è necessario disporre di annunci per monetizzare, cerca sempre di distinguerli chiaramente dal contenuto dal tuo sito. Evitare gli annunci pop-up, a meno che non ti dispiaccia infastidire gli utenti e perdere di credibilità. Per quanto riguarda lo stile di scrittura cerca di essere sempre chiaro, diretto, e sopratutto sincero evitando di camuffare annunci pubblicitari o pagine dedicate a tale scopo.

Evita errori di ogni tipo, anche se modesti e per te irrilevanti

Errori tipografici e collegamenti rotti sono un male per la credibilità di un sito più di quanto immagini. E ‘anche importante evitare il minino errore per mantenere il sito attivo, funzionante e performante.

tratto da http://credibility.stanford.edu/

Queste sono solo alcune indicazioni su come rendere un sito web credibile agli occhi di chi lo visita, ed il mostrare una struttura organizzativa, un associazione credibile, serve ad acquisire fiducia. Ovviamente non sono gli unici fattori, ma incorporare, parlando anche di un sito web gestito da una sola persona, alcune di queste “credenziali” probabilmente accrescerà il tuo brand, il trust del sito, la reputazione ed il rispetto verso te e il tuo gruppo di lavoro.

Lago: una piattaforma 2.0 aperta all’esterno migliora la collaborazione tra i dipendenti e la gestione dei progetti

Lago è una giovane azienda produttrice di arredamento di design con sede in provincia di Padova: vi lavorano 145 dipendenti, di cui circa il 25% assunti nell’ultimo anno, per un fatturato che ha raggiunto i 30 milioni di euro nel 2008. Lago commercializza in tutta Europa i propri prodotti attraverso una rete commerciale di rivenditori e ha conosciuto una crescita notevole negli ultimi cinque anni. Per migliorare l’efficienza e il controllo dei processi aziendali, Lago ha introdotto una piattaforma Web 2.0 a disposizione di tutti i dipendenti ed aperta a collaboratori esterni. Le funzionalità principali sono relative ad una piattaforma di Social Network aziendale, Blog aziendali, Wiki e un applicativo per la gestione dei progetti, integrati tra loro, ai quali si accede grazie a username e password personali.

In particolare, il Social Network aziendale permette a tutti i dipendenti di pubblicare la propria foto corredata da un profilo che comprende le mansioni ricoperte in azienda. Il profilo è stato arricchito di funzionalità interattive (ad esempio, una nuvola di tag riporta le parole maggiormente utilizzate dal dipendente nei suoi interventi sul sito), al fine di favorire la comprensione del profilo di competenze di ciascuno. Il nuovo sistema, inoltre, supporta la creazione di un blog aziendale e di blog personali da parte dei direttori di divisione, attraverso i quali vengono condivise in modo informale le strategie aziendali, i progetti principali in corso e gli spunti di riflessione, spingendo i dipendenti a partecipare attraverso commenti. Il Wiki aziendale è lo strumento utilizzato dai dipendenti per la condivisione, lo scambio e la memorizzazione dei documenti di progetto e aziendali. Ciascun contenuto è sviluppato in collaborazione dai membri del team di progetto e può essere conseguentemente modificato. I documenti non vengono salvati nella classica struttura a cartelle, ma vengono dotati di tag dagli stessi utilizzatori che, attraverso un motore di ricerca, sono in grado di recuperarli facilmente. Il Wiki aziendale è integrato con un’applicazione per la gestione dei progetti, amministrata dal responsabile del team, che permette il coordinamento tra i membri dei gruppo di lavoro, la condivisione del calendario di progetto e l’assegnazione delle attività, alle quali vengono associati i documenti disponibili online sul Wiki stesso. Il responsabile del team, inoltre, può autorizzare l’accesso al sito Web di progetto per i collaboratori esterni all’azienda attraverso l’assegnazione di un identificativo, per il quale può gestire eventuali restrizioni nell’utilizzo dei contenuti.

La strategia e il nuovo posizionamento competitivo di Lago hanno portato a notevoli cambiamenti nei processi e nella gestione delle risorse umane. La piattaforma Web 2.0 adottata ha permesso di gestire il consistente ampliamento di organico, promuovendo al contempo il senso di appartenenza all’azienda. Grazie ai Blog, viene comunicata in modo trasparente e informale la strategia aziendale, contribuendo a migliorare il clima e facilitando l’integrazione tra le diverse Business Unit, dagli addetti di produzione in stabilimento al personale amministrativo in ufficio. Si è inoltre verificato un aumento di efficienza nella collaborazione dei gruppi di lavoro, riducendo del 90% il tempo dedicato alle riunioni.

Emporio Armani lancia l’e-commerce da cellulare

Il Gruppo Armani ha lanciato il 25 novembre una piattaforma Mobile per l’e-commerce in tutti i paesi che hanno attualmente la possibilità di accedere al negozio online Emporio Armani (tra cui Austria, Belgio, Paesi scandinavi, Francia, Germania, Grecia, Italia, Giappone, Penisola iberica, Svizzera, UK, USA). «Questo progetto è la naturale evoluzione del negozio online Emporio Armani che rispecchia l’esperienza globale che un cliente vivrebbe in uno dei miei negozi dedicati», ha dichiarato Giorgio Armani.

L’intento è quello di allargare il più possibile la rete di vendita, non solo diretta (sono stati inaugurati nel 2009 circa 50 nuovi store), ma anche sfruttando il Mobile Internet per far provare ai clienti una nuova esperienza d’acquisto, avendo sul proprio cellulare un m-site con un’interfaccia di design innovativo che offre un catalogo molto ampio di prodotti della collezione uomo-donna della griffe. La piattaforma avrà come caratteristiche un design dell’interfaccia innovativo.

I possessori di smartphone potranno accedere in ogni momento al sito www.emporioarmani.com e acquistare direttamente il capo desiderato.

Il partner della maison per questo progetto è Yoox Group, azienda globale di Internet retail per i principali brand della moda e del design (ha sviluppato online store quali dolcegabbana.com, valentino.com e diesel.com).

Mobile Marketing: la predisposizione degli italiani a ricevere pubblicita' sul cellulare – superstefanello@gmail.com

Le Chiuse di Reopasto – azienda agricola della provincia di Rieti – svolge attività di allevamento e macelleria, agriturismo e organizzazione eventi. La tenuta costituisce uno dei possedimenti storici della zona. Con i suoi circa 290 ettari, l’azienda agricola è dedita all’allevamento dei bovini e dei cavalli, all’agricoltura tradizionale, e alla produzione di carne bovina e di altri prodotti locali. La macelleria dal 1997 commercia carne al dettaglio di produzione propria.

Con l’obiettivo, in primo luogo, di aumentare la clientela e quello, non secondario, di potenziare le vendite ha scelto di adottare un innovativo servizio di alert Sms per la gestione delle prenotazioni. Tale servizio inconsueto, in particolare per l’attività dell’azienda, prevede in parallelo al momento della lavorazione della carne l’invio al database dei suoi 150 clienti di un messaggio via cellulare che segnala il giorno preciso di disponibilità della merce: i clienti possono rispondere ed ordinare – se interessati – tramite sms, telefonata o mail. Si tratta di un modo semplice ma efficace per gestire una domanda fortemente variabile e che si adatta perfettamente alla clientela-tipo della macelleria: persone sopra i 40 anni che prediligono l’uso del cellulare a quello delle mail. Sapere in anticipo attraverso la prenotazione la quantità precisa di carne venduta permette un’ottimizzazione sia della fase di lavorazione che di quella di preparazione dei singoli ordini. In questo modo migliora notevolmente il servizio al cliente: la sua domanda – infatti – viene sempre soddisfatta e addirittura l’utente è informato del preciso periodo in cui può ritirare quanto ordinato. Un simile sms con relativo invito alla prenotazione diventa suo malgrado un messaggio promozionale importante capace di incentivare nuovi ordini a favore di una maggiore frequenza delle macellazioni.

In meno di 2 anni, dopo l’introduzione del servizio Sms, il fatturato relativo alla sola vendita della carne è aumentato di oltre il 70%. Proprio tale servizio ha permesso di diminuire la quantità della carne in esposizione (già in pronta consegna) e soprattutto di ridurre la quantità della carne invenduta. La quasi totalità delle prenotazioni viene attualmente evasa in maniera regolare mentre, prima dell’implementazione del servizio, il 15% della domanda restava non soddisfatta. Inoltre, le attuali ordinazioni sono dovute in gran parte alle comunicazioni push effettuate via Sms dalla macelleria.

L’efficacia di questo canale di comunicazione ha orientato le Chiuse di Reopasto verso la realizzazione di un servizio analogo di promozione e prenotazione legata ad altre attività della tenuta (l’agriturismo e la ristorazione) inclusa la comunicazione di alcuni eventi organizzati a scopo promozionale (ad esempio feste o piccoli eventi a tema, come la mietitura).

da: wireless4innovation.it

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SEO

Spesso l’uso eccessivo di linguaggi client-side come Javascript peggiora l’indicizzazione del nostro sito sui motori di ricerca. Ciò è dovuto al fatto che gli spider dei motori di ricerca non sono in grado di interpretare questi codici. Questo articolo vuole fornire un piccolo aiuto a tutti i webmaster per l’ottimizzazione dei loro siti in funzione di una strategia SEO (Search Engine Optimization).

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