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How To Create a New User and Grant Permissions in MySQL
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How To Set Up Apache Virtual Hosts on Ubuntu 12.04 LTS
This is the official website of KeePass, the free, open source, light-weight and easy-to-use password manager.
I creatori di BitTorrent, il protocollo di file sharing più diffuso al mondo, lanciano SoShare, servizio gratuito che permette di condividere file fino a 1 TB.
Lo storage e il trasferimento di file via cloud inizia finalmente a prendere piede, anche da noi. Ma restano dei limiti: intanto ci sono i limiti di banda in upload, tipici delle connessioni ADSL, e in più la capacità di storage gratuito offerta dai vari operatori è, per forza di cose, limitata. Al fine di risolvere questo secondo inconveniente, BitTorrent presenta SoShare, un servizio gratuito di sharing di file di grandi dimensioni (fino a 1 TB), finalizzato a permettere alle piccole e medie aziende il trasferimento di contenuti del tutto gratuito.
Come funziona il servizio? Non sono trapelati molti dettagli in merito, ma parrebbe che i file da condividere, una volta caricati nel cloud, impieghino il protocollo BitTorrent per lo sharing con i destinatari, che non devono essere iscritti al servizio per usufruirne (ricevono semplicemente un’email con le istruzioni per il download): trattandosi di un servizio rivolto principalmente alle aziende, si suppone che la banda in upload non sia un problema. Non resta che provarlo: l’indirizzo di registrazione (e scaricamento del plug-in relativo) è https://soshareit.com/signup
Fonte: dday.it
Come tenere sotto controllo i costi del Cloud Computing
I servizi sulla “nuvola” promettono efficienza e risparmio, ma spesso è difficile valutare e monitorare correttamente costi e benefici ad essi collegati. Esistono però strumenti ad-hoc creati per tenerne traccia ed identificare sprechi e possibili aree di risparmio. Ecco i principali
di Andrea Ferretti
analisi
06 Novembre 2012
Le aziende abbracciano il paradigma del Cloud Computing attratte da risparmi e maggiore efficienza, ma spesso non è semplice monitorare i costi dei diversi servizi che si utilizzano, e il rischio che questi lievitino sforando il budget preventivato è considerevole.
In questo contesto si inseriscono una serie di strumenti progettati ad hoc per tenere sotto controllo i servizi in Cloud Computing di diversi provider utilizzati in azienda, identificando sprechi e possibili aree di risparmio.
I principali sono Cloudability (https://cloudability.com) e Right Scale Cloud Management (http://www.rightscale.com), che supportano un ampio ventaglio di fornitori di servizi Cloud SaaS, PaaS e IaaS, come Salesforce, Amazon, Google, Microsoft e molti altri. A questi si aggiungono uptimeCloud (www.uptimecloud.com) e Cloudyn (http://cloudyn.com), progettati per funzionare con Amazon.
Nella maggior parte dei casi utilizzarli è gratuito per un account con funzionalità base, mentre la versione avanzata prevede il pagamento di un canone mensile.
Tra le opzioni, notifiche personalizzabili che possono essere impostate per inviare un report giornaliero via mail che riporta i costi sostenuti con i diversi fornitori per i servizi usati nella giornata, oppure per avvisare di uno sforamento del budget preventivato a livello giornaliero, settimanale o mensile.
Dai dati diffusi da Cloudability (il servizio più noto e quello che supporta il maggior numero di provider) emerge che i clienti dell’azienda spendono in media 20.000 dollari al mese nel Cloud attraverso 4 account sottoscritti con diversi provider.
Ogni fornitore utilizza metodi di fatturazione diversi, alcuni prevedono il versamento di una quota mensile per dipendente, altri si basano su un modello a consumo effettivo. Tenere traccia dei costi sostenuti si complica quindi ulteriormente, in particolare per realtà aziendali molto complesse.
Questi servizi di gestione e monitoraggio offrono una dashboard grafica che riunisce tutte le informazioni necessarie a decifrare l’andamento di costi e consumi a colpo d’occhio, con strumenti di analisi che permettono di scendere nel dettaglio di applicazioni, fornitori, utilizzatori e molte altre dimensioni.
Menzione a parte merita invece PlanForCloud di Right Scale (http://www.planforcloud.com), strumento che permette di creare una simulazione dettagliata ed un piano a 3 anni di implementazione di servizi Saas, PaaS e IaaS in Cloud Computing, analizzando nel dettaglio costi e benefici di varie configurazioni con fornitori differenti e permettendo così un approccio ragionato e consapevole al mondo della “nuvola”.
fonte: ict4executive.it
Crescono i servizi di hosting e cloud e i datacenter si rimpiccioliscono.
Nell’era del cloud computing e dell’outsourcing dei datacenter, un numero sempre più ampio di aziende inizia a credere che forse la scelta di creare un proprio centro dati non è la scelta migliore, considerate le spese. “Bisogna considerare la corrente elettrica, i generatori, gli UPS, i rack e il sistema di raffreddamento ancor prima di aver installato il primo server – dice Tim Antonowicz, senior architect di Mosaic Technology -. Con la virtualizzazione, le risorse computazionali sono delle commodity, così sarà qualcun altro a doversi occupare di comprare i server”. Questo, in realtà, non vuol dire che i datacenter privati scompariranno. Tuttavia, saranno destinati, a quanto pare, a rimpicciolirsi, in virtù del fatto che un numero sempre più alto di organizzazioni decide di sperimentare, almeno parzialmente, il consolidamento oppure l’outsourcing. Ad ogni modo, nell’arco dei prossimi 10 anni, lo spazio occupato dalle infrastrutture sarà drasticamente ridotto e anche il loro costo dovrebbe ridursi in maniera considerevole.
Hosting vs cloud
Aziende come IBM e VMware incoraggiano i clienti con propri datacenter privati a passare al cloud. Nel frattempo, i fornitori di servizi gestiti per i CED sostengono che la costruzione di un datacenter privato, in questo momento, non è una scelta sostenibile.
Il “cloud computing” si riferisce a servizi erogati in rete. Le aziende possono creare cloud privati, ma l’ultimo decennio ha visto anche l’aumento dei fornitori di servizi cloud pubblici, che offrono un insieme di risorse di calcolo piuttosto ampio ma flessibile ed erogabile su richiesta degli utenti.
L’hosting di un datacenter si riferisce all’housing degli apparati normalmente utilizzati nei CED, off premise, presso il centro dati di un fornitore di servizi gestiti, il quale potrà acquistare e gestire direttamente le attrezzature e affittarle all’utente.
Ci sono pareri contrastanti, tra professionisti IT, sulle diverse opzioni possibili.
Dall’indagine “State of the Data Center” condotta da SearchDataCenter.com emerge che il 24% degli intervistati prevede di utilizzare formule di Infrastructure as a Service (IAAS) o servizi di hosting nel corso dei prossimi 12 mesi, contro il 19% che riferisce di aver utilizzato tali servizi nei 12 mesi precedenti.
Outsourcing del datacenter, i benefici
Per molte organizzazioni, la crisi economica ha stimolato l’interesse nelle opzioni di outsourcing del datacenter, con lo scopo di ridurre i costi. Secondo Julius Neudorfer, CTO di North American Access Technologies, i centri dati nella gamma compresa tra i 5.000 e i 10.000 piedi quadrati (da 500 a 1.000 metri quadrati) si stanno “ritirando”, perché le organizzazioni di medie dimensioni guardano sempre più spesso ai service provider per ridurre i costi. “Le aziende, di fronte al fatto che i loro datacenter sono obsoleto o difficili da ingrandire – sostiene – valutano il costo di costruzione di un nuovo CED e, tutto a un tratto, l’outsourcing sembra la scelta migliore. Alcune organizzazioni vogliono andare oltre la co-location delle facility e optano per l’hosting del datacenter per riuscire a fronteggiare la domanda di risorse computazionali a disponibilità continua, 7 giorni su 7, 24 ore al giorno”.
Outsourcing del datacenter, le preoccupazioni
Alcune organizzazioni, in particolare nei settori finanziari e di assistenza sanitaria, sono restii a demandare all’esterno il controllo sul luogo in cui fisicamente risiedono i dati e i loro specialisti IT sono preoccupati anche per la larghezza di banda e l’affidabilità della rete. “Abbiamo esaminato alcune delle nostre applicazioni e il costo della banda che avremmo dovuto comprare per arrivare al cloud supera il costo di costruzione di un intero data center”, sostiene Robert Rosen, CIO di un’agenzia governativa americana. La via di mezzo In molti casi, le aziende stanno adattando i loro centri dati privati per mantenere il controllo e ridurre i costi, optando per il solo outsourcing di alcune funzionalità.
Kent Altena, ingegnere tecnico di una compagnia assicurativa americana, si aspetta che una quota compresa tra il 5 e il 10% della superficie complessiva del suo CED finirà letteralmente “nella nuvola” nei prossimi due anni. Una quota che salirà al 30- 50% nei prossimi cinque anni. “Le imprese devono consolidare ora i propri CED – consiglia – prima il costo di aggiornamento di un datacenter diventi superiore a quello del passaggio al cloud”.
fonte:searchcio.techtarget.it
La stima di uno studio del Ponemon Institute che ha analizzato 41 datacenter con dimensione minima di 232 metri quadri. Per i service provider o le società di e-commerce si arriva a 8.000 euro al minuto
I guasti dei datacenter possono costare alle organizzazioni più di 3.500 euro al minuto. Il dato emerge da una ricerca effettuata dal Ponemon Institute e sostenuta da Emerson Network Power.
La ricerca ha analizzato il funzionamento e la gestione di 41 datacenter di diversi settori industriali con una dimensione minima di 232 metri quadri ed è stata realizzata intervistando oltre 450 professionisti per calcolare costi diretti e indiretti delle interruzioni del servizio.
Lo studio sottolinea come le inadeguatezze dei segmenti power, cooling, monitoring e service possono contribuire ai guasti.
Oltre 2 ore il tempo di ripristino medio
Ne emerge che, in caso di downtime di un data center, il tempo medio di ripristino delle operazioni è di 134 minuti e il costo per l’azienda di queste oltre due ore di black-out è di oltre 475.000 euro (ovvero circa 680.000 dollari).
La situazione peggiora se si considerano le aziende con modelli di guadagno che dipendono dalla capacità dei data center di fornire servizi IT e di networking, come appunto i service provider e le società di e-commerce, per le quali un singolo donwtime può arrivare a costare anche fino ad 700.000 euro (1 milione di dollari), ossia quasi 8.000 euro al minuto.
Per calcolare il costo complessivo, i ricercatori del Ponemon Institute hanno utilizzato un sistema di Activity Based Costing, prendendo in considerazione i costi diretti, indiretti e il costo opportunità (cioè il valore a cui si rinuncia nel caso non si sfrutti un’opportunità). I dettagli nella figura in basso.
Mancano risorse
I dati indicano che i professionisti che gestiscono i data center lamentano la carenza di risorse per una gestione ottimale delle infrastrutture: quasi il 60% sostiene che sarebbe stato possibile prevenire i guasti mentre solo il 37% ritiene di avere a disposizione tutte le risorse necessarie per ripristinare il corretto funzionamento del data center in caso di problemi.
Perché si guasta un datacenter?
In base ai dati forniti dai rispondenti, nel 29% dei casi l’indiziato numero uno è l’UPS. Al secondo posto l’errore umano (citato nel 24% dei casi) e a seguire problemi energetici e nel condizionamento. In figura le primarie cause di guasto.
fonte: searchCIO.it
McAfee ha rilasciato i risultati di un’indagine condotta da Gabriel Consulting Group che riporta un divario tra la percezione della sicurezza e la realtà tra i responsabili della sicurezza It aziendale.
Lo studio Datacenter Security Survey 2011 si è focalizzato sulle problematiche e sulle soluzioni di sicurezza e ha coinvolto 147 responsabili di data center aziendali.
La maggior parte degli intervistati (60%) dichiara che la direzione ritiene che la sicurezza sia più solida di quanto non lo sia effettivamente, mentre solo il 22% riporta che la direzione è a conoscenza della reale situazione della sicurezza della propria azienda.
Lo studio ha rilevato che, sebbene quasi la metà degli intervistati ritenga che la virtualizzazione e i cloud privati rappresentino una sfida di sicurezza, la maggior parte degli intervistati utilizza gli stessi strumenti per proteggere i sistemi fisici e quelli virtualizzati.
In sostanza, mentre le aziende continuano ad adottare virtualizzazione e cloud, la tecnologia di sicurezza utilizzata spesso è una replica della sicurezza delle risorse fisiche, e questo si traduce in ostacoli, come policy di rete incoerenti e falle nella sicurezza.
Difatti, quasi la metà degli intervistati ha riferito di essere costantemente alla ricerca di nuove falle di sicurezza, più del 40% ritiene che lo stato della sicurezza della propria azienda non sia al passo con le minacce, circa il 70% ha mostrato scetticismo sulla sicurezza del cloud pubblico e il 40% ha rivelato che la sicurezza nel quotidiano non è conforme agli standard richiesti dalle loro policy ufficiali.
da: searchcio.it
JoliOS, il sistema operativo che guarda al cloud
Basato su Ubuntu, permette di gestire la maggior parte delle applicazioni direttamente sul Web. Disponibile anche una distribuzione “live”.
Joli OS è un interessante progetti per gestire tutti i servizi “in the cloud”.
Si tratta di un vero e proprio sistema operativo capace di raccogliere, sotto un unico ombrello, le principali applicazioni web utilizzabili ricorrendo al solo browser.
Joli OS è un sistema operativo basato su kernel Linux e fatto derivare dalla distribuzione Ubuntu di Canonical.
Requisito essenziale per il corretto funzionamento di Joli OS è un sistema dotato di un quantitativo di memoria RAM pari o superiore a 384 MB.
Il sistema operativo può essere eseguito anche in modalità “live” (Try Joli OS without installing) lasciando inserito nel lettore CD/DVD il supporto generabile a partire da questo file ISO.
In questo caso, però, tutte le modifiche non saranno salvate e saranno perse al successivo riavvio del personal computer.
Sempre dal menù di avvio del CD “live” di Joli OS, è possibile optare per l'installazione del sistema operativo sul disco fisso (Install Joli OS):
Qualora si decidesse per l'installazione sul disco fisso, Joli OS richiede se installare il sistema operativo accanto a quello già presente oppure se cancellare completamente il contenuto dell'hard disk:
Joli OS può essere anche installato da ambiente Windows ricorrendo a questo file eseguibile. Anche qui, il file d'installazione di Joli OS provvederà a ridimensionare la partizione destinata a Windows in modo da fare spazio per il sistema operativo che guarda al cloud (sono necessari almeno 18 GB).
Una volta completata l'installazione, al successivo riavvio del sistema comparirà il menù di boot che consentirà di avviare Windows oppure Joli OS. La voce che consente l'avvio di Joli OS è impostata come opzione predefinita. Per variare questa regolazione, è sufficiente accedere a Windows, entrare nel Pannello di controllo, fare doppio clic sull'icona Sistema, cliccare su Impostazioni di sistema avanzate, portarsi entro la scheda Avanzate, fare clic sul pulsante Impostazioni (riquadro Avvio e ripristino) ed agire sul menù a tendina Sistema operativo predefinito.
Dopo aver avviato Joli OS verrà richiesto di effettuare il login utilizzando un account precedentemente creato oppure inserendo le credenziali d'accesso di Facebook. Se ancora non si è creato un account “Jolicloud” e non si desidera inserire i dati di Facebook, è necessario visitare questa pagina, cliccare sulla scheda Sign up e registrarsi compilando i campi proposti.
A questo punto, si potranno inserire le credenziali scelte all'interno della finestra Login di Joli OS. Se la connessione Internet è attiva e funzionante, verrà proposta la finestra principale:
Per risolvere i problemi legati alla digitazione dei caratteri speciali, suggeriamo di cliccare su Keyboard issue, nella parte superiore della schermata, cliccare su Layout, aggiungere Italy e rimuovere USA.
Il pulsante di colore verde che espone il segno “+” permette di aggiungere nuove applicazioni mentre gli alt
ri tasti della barra degli strumenti consentono di ottenere l'elenco delle applicazioni installate, gli aggiornamenti da parte di Jolicloud e degli amici, gestire i file presenti sulla partizione di Joli OS così come in quelle appartenenti altri altri sistemi operativi, personalizzare le impostazioni.
Nell'immagine sotto, l'elenco delle più note applicazioni che Joli OS è in grado di installare ed eseguire.
Nella transizione al cloud spesso ci si dimentica di una domanda fondamentale: la rete è pronta a supportare le applicazioni sulla nuvola? Le cose da sapere.
Fra i tanti aspetti che ruotano attorno al discorso cloud computing, ce n’è uno che viene spesso affrontato con un po’ di sufficienza: l’importanza della rete.
Tutti sono affascinati dal poter pagare solo i servizi che si usano, dalla scalabilità, dalla possibilità di spostare le criticità al di fuori del perimetro aziendale, dal focalizzarsi sul core business e via dicendo. Ma spesso ci si dimentica che se l’infrastruttura di rete non è pronta per il cloud computing, la migrazione verso il cloud parte zoppa.
Giusto per dare un’idea, gli analisti di mercato ritengono che entro il 2012, il 20% dei messaggi email aziendali passerà attraverso il cloud; in due anni, il 60% del traffico server sarà virtuale; ed entro il 2015, la navigazione web in mobilità supererà quella su desktop
Insomma, uno tsunami che cambia sostanzialmente le regole del networking. Come? Lo riassume Ipanema Technologies nei punti seguenti: